I tre segni dell’esistenza
Un tema centrale della visione del mondo buddhista nel suo insieme, nonché un tema che è direttamente correlato alle quattro applicazioni dell’attenzione, è quello dei tre segni dell’esistenza, il primo dei quali è l’impermanenza. Quando passate in rivista il vostro corpo come uno scanner, e poi investigate sulla natura delle sensazioni, di altri stati mentali, di tutti gli altri fenomeni,verificate se, in questi ambiti di esperienza, c’è qualcosa di stabile, qualcosa che rimane immutabile, includendovi nell’indagine. C’è forse qualcosa che si presenza nel vostro campo percettivo essendo “reale”, nel senso di dotato di efficienza causale, e anche statico, sempre immutabile? In base alle investigazioni buddhiste, la risposta è no. Tutti i fenomeni condizionati (i nostri corpi, le nostre menti, noi stessi, l’ambiente circostante, le persone) sono in uno stato di continuo cambiamento. Tutte queste cose sono soggette ad una “grossolana impermanenza”, nel senso che prima o poi scompaiono. Qualsiasi cosa nasca, alla fine muore. Tutto ciò che viene accumulato, alla fine si disperde. Tutto ciò che viene portato in alto, prima o poi scende. Inoltre, tutto ciò che è prodotto da cause, esiste in uno stato costante di flusso, in ogni istante sorge, e in ogni istante se ne va. Non è che i nostri capelli diventano grigi di colpo, quando è il nostro compleanno: istante dopo istante le cellule individuali dei capelli invecchiano, e perdono colore. Ma nel mezzo di questa realtà percettiva di cambiamento costante, noi proiettiamo concettualmente un falso senso di durata, di stabilità, di permanenza sui nostri corpi, sulle nostre menti, sulle altre persone e sull’ambiente circostante. Distinguere tra ciò che viene proiettato e ciò che si presenta al campo percettivo: così incomincerete a gettar luce sulla vera natura della vostra presenza e di tutto ciò che vi circonda in questo mondo.
Il secondo segno dell’esistenza è che tutto ciò che è soggetto alle afflizioni mentali, inclusa bramosia, l’ostilità e l’illusione, è condannato all’insoddisfazione, al tormento e alla sofferenza. Sotto l’influsso di queste afflizioni possiamo identificare in molte cose, eventi e persone le cause autentiche di felicità, ma una più autentica investigazione ci farà scoprire che si limitano a contribuire al nostro benessere, senza esserne la fonte. E che, anche troppo spesso, contribuiscono alla nostra sofferenza! Shantideva riassume il pathos di questa condizione umana dicendo: “Coloro che vogliono sfuggire alla sofferenza non fanno che affrettare il passo verso di essa; mossi dal desiderio della felicità, a causa dell’illusione distruggono la loro stessa felicità come se fosse il loro nemico”.
Non c’è bisogno che altri ci persuadano a voler essere felici o liberi dalla sofferenza o dal tormento: è qualcosa di naturale, qualcosa che abbiamo dentro. Se non abbiamo abbandonato questa ricerca della felicità, è comprensibile che si provi un acuto interesse per le reali fonti della felicità, del tormento e della sofferenza., cause che è molto facile combinare con altri fattori, di fatto soltanto incidentali rispetto alla qualità di vita che andiamo cercando. Smaniamo per la felicità e la libertà dalla soffernza, e tuttavia continuiamo a fissarci su cose diverse: “ se soltanto potessi conquistare quell’uomo / donna / lavoro/ bellisima casa / vacanza / BMW… allora si che sarei felice, soddisfatto e pago, proprio come voglio “; ma può accadere che, ottenuto l’oggetto del desiderio, si scopra che non porta con sé la felicità tanto attesa; semplicemente, adesso, possediamo l’”oggetto”. E’ triste e ridicolo passare mesi o anni a lottare per qualcosa che , alla fine, altro non porta con sé che disappunto, giacchè la sola cosa che non potete comperare è il tempo. Prima di dedicarvi completamete al tentativo di acquistare qualcosa, investigate sulle probabilità che quella cosa vi dia la felicità autentica. E quando siete in cerca delle origini di una infelicità o di una sofferenza, verificate bene di non stare puntando il dito su qualcosa che ha soltanto svolto la funzione di catalizzatore, senza essere la fonte. Pensate al contadino che, anno dopo anno, produce un magro raccolto; pensa :” Più fertilizzante o meno fertilizzante? Più acqua o meno acqua?. Ma se è la qualità del seme ad essere povera, la quantità di fertilizzante o di acqua non avrà alcuna importanza. Quali sono, dunque, le fonti di autentica felicità, e quali le fonti autentiche della sofferenza? Questo secondo tema ci fa riflettere sul fatto che molte delle cose che noi ci aspettiamo che siano fonti autentiche di felicità, di soddisfazione e di benessere gireranno diversamente; magari rivelandosi un ulteriore fonte di insoddisfazione, oppure, nel migliore dei casi, un oggetto desiderato che potrà, o no, contribuire alla felicità.
Il terzo segno dell’esistenza è il “non sé”. All’interno dell’universo della nostra esperienza, quando prestiamo attenzione al corpo, alle sensazioni, agli stati mentali e agli oggetti mentali, c’è forse qualcosa che si presenti a noi come dotato si un sé autonomo, immutabile, unitario, un vero e proprio “io”? Vi è forse un’entità durevole, la stessa persona che eravate ieri o quattro anni fa? Vi è forse qualcosa che, per sua natura, appare come veramente “vostro”, appartenente, cioè, a una vostra identità personale? O semplicemente avete proiettato concettualmente un concetto di “io” e “mio” su vari eventi, nel vostro universo? Avete mai percepito un vero e proprio “io”?
B.Alan Wallace