Michael Bond, New Scientist, Gran Bretagna
Gli scienziati cercano le prove degli effetti salutari della meditazione. Le ultime scoperte sono incoraggianti: aumenta la concentrazione, riduce il dolore, rafforza i legami emotivi.
Molti considerano la meditazione un modo esotico di sognare a occhi aperti o un facile rimedio allo stress. Dovrebbero provarla. È piuttosto difficile, almeno all’inizio: al mio primo tentativo, invece di concentrarmi sul respiro e di lasciar andare tutto quello che sorge nella mente, come diceva il mio sorridente maestro tibetano, sono stato distratto da una serie di pensieri angoscianti e poi mi sono addormentato. A quanto pare, ai principianti succede spesso.
I meditanti esperti, però, assicurano che vale la pena di insistere. “Con l’esercizio possiamo trasformare la nostra mente, superare le emozioni negative e far svanire le sofferenze”, spiega il monaco buddista Matthieu Ricard. “Le tecniche di meditazione buddista sviluppate nel corso dei secoli possono essere usate da chiunque. Servono solo entusiasmo e perseveranza”. Sembra tutto molto allettante, ma cosa dice la scienza al proposito?
Sui mezzi d’informazione leggiamo spesso che la meditazione può trasformare la nostra vita, ma solo di recente sono state fornite delle prove empiriche. Negli ultimi dieci anni alcuni ricercatori hanno usato la risonanza magnetica funzionale per analizzare l’attività cerebrale sia di meditanti esperti come Ricard sia di principianti, verificando gli effetti delle diverse tecniche meditative sulla capacità cognitiva, sul comportamento, sulla salute psicofisica e sulla plasticità cerebrale dei soggetti.
Sta emergendo una teoria scientifica secondo cui la meditazione può effettivamente modificare alcuni aspetti della psicologia, del carattere e della salute fisica di una persona.
La traccia delle sensazioni
“Analizzare il funzionamento della nostra mente è sicuramente utile”, spiega Clifford Saron del Center for mind and brain dell’università della California a Davis. “Si può adottare anche un approccio empirico alla meditazione, limitandosi a considerare le dinamiche dell’esperienza”. Saron dirige il progetto Shamatha, uno dei più ambiziosi studi scientifici sulla meditazione. Nel 2007 lui e i suoi colleghi psicologi e neuroscienziati hanno seguito sessanta meditanti esperti durante un ritiro di tre mesi in Colorado per osservare i cambiamenti dello loro capacità mentali, e del loro benessere psicologico e fisiologico. I partecipanti si sono dedicati per almeno cinque ore al giorno alla meditazione concentrata in cui si focalizza l’attenzione sulle sensazioni del respiro.
Coordinati da Katherine MacLean, della facoltà di medicina dell’università Johns Hopkins a Baltimora, i ricercatori hanno misurato la capacità di attenzione dei volontari mostrandogli una serie di linee verticali che apparivano sullo schermo di un computer. Quando vedevano una linea più corta delle altre, dovevano fare un clic con il mouse. MacLean e i suoi colleghi hanno notato che con il passare dei giorni i volontari erano sempre più precisi e mantenevano più facilmente la concentrazione per lunghi periodi di tempo.
Anche altri ricercatori hanno individuato una correlazione tra questa tecnica di meditazione e la maggiore capacità di attenzione. Nel 2010 un’équipe guidata da Antoine Lutz del Waisman laboratory for brain imaging and behavior dell’università del Wisconsin-Madison ha osservato che alcuni volontari, dopo tre mesi di meditazione concentrata, erano in grado di identificare più rapidamente le tonalità diverse in una successione di suoni simili tra loro.
Nel 2007, invece, Heleen Slagter, una collega di Lutz che insegna all’università di Amsterdam, ha pubblicato i risultati di una ricerca basata su una combinazione di meditazione concentrata e meditazione di consapevolezza. Quest’ultima tecnica prevede il controllo costante dell’esperienza meditativa, momento per momento. Dopo tre mesi di pratica per almeno dieci ore al giorno, le persone che hanno partecipato all’esperimento di Slagter hanno mostrato una diminuzione dell’attentional blink, il ritardo cognitivo nella percezione di uno stimolo (che di solito è di circa mezzo secondo) che può provocare la perdita dello stimolo, come quando appaiono due numeri in rapida successione su uno schermo e non si riesce a leggere il secondo.
L’ipotesi secondo cui la meditazione migliora la capacità di attenzione merita di essere presa seriamente in considerazione, visto che la concentrazione ha un ruolo fondamentale in molti aspetti della nostra vita. Ma perché fare attenzione al respiro provoca un cambiamento così marcato delle nostre capacità cognitive? Una risposta possibile è che in questo processo entra in gioco la “memoria di lavoro”, cioè la capacità di tenere a mente le informazioni necessarie a capire e a ragionare su una questione nel breve termine.
Sentirsi meglio
Il collegamento con la meditazione è stato individuato di recente da Amishi Jha dell’università di Miami a Coral Gables. La ricercatrice ha insegnato a un gruppo di marines come concentrarsi usando le tecniche della meditazione di consapevolezza, scoprendo poi che questo esercizio potenziava la loro memoria di lavoro. Secondo MacLean, la meditazione ci costringe anche a far caso ai continui cambiamenti delle nostre esperienze sensoriali, sviluppando quindi la capacità di conservare la traccia delle informazioni sensoriali che tendono a dissolversi nel breve termine.
MacLean e altri scienziati sono anche convinti che la meditazione rafforzi un’abilità cognitiva centrale ancora sconosciuta che si attiva nei processi percettivi di base. “È come un muscolo che può essere usato in molti modi diversi”, spiega MacLean. Una volta sviluppata questa abilità, la percezione richiede uno sforzo minore e il cervello può destinare una parte maggiore delle sue limitate risorse alla concentrazione. Questa ipotesi è confermata da alcune misurazioni dell’attività elettrica del cervello effettuate da Slagter durante l’esperimento sull’attentional blink: a mano a mano che si allenavano nella meditazione, i volontari usavano meno risorse per elaborare il primo stimolo e riuscivano più facilmente a riconoscere il secondo.
Oltre a migliorare le capacità cognitive, la meditazione sembra avere un effetto positivo anche sul benessere emotivo. I ricercatori del progetto Shamatha sono giunti alla conclusione che la meditazione rende le persone meno ansiose, più consapevoli delle proprie emozioni e più brave a gestirle. I volontari che hanno partecipato all’esperimento di MacLean sono diventati più bravi anche in un altro test in cui, fissando uno schermo, dovevano fare clic con il mouse tutte le volte che appariva una linea più lunga delle altre e resistere all’impulso di farlo quando appariva una linea più corta. È un compito più difficile di quanto sembra perché le linee corte apparivano molto raramente.
Secondo Baljinder Sahdra, dell’università della California a Davis, la meditazione ci aiuta a “reprimere l’impulso a reagire a stimoli che possono essere emotivamente molto intensi”. Questo freno, aggiunge Sahdra, sembra avere un ruolo fondamentale per un sano controllo delle emozioni. L’idea che la meditazione renda le persone meno reattive dal punto di vista emotivo è confermata anche dall’esame dell’attività cerebrale. Un’équipe guidata da Julie Brefczynski-Lewis dell’università della West Virginia a Morgantown ha usato la risonanza magnetica per studiare i meditanti “in azione”. E ha scoperto che l’amigdala (che svolge un ruolo fondamentale nell’elaborazione delle emozioni e dei ricordi) era molto meno attiva nei meditanti esperti rispetto ai principianti.
In allenamento
La capacità di gestire le emozioni potrebbe essere anche la chiave per capire perché la meditazione può migliorare la salute fisica. Diversi studi hanno dimostrato che è una terapia efficace per chi soffre di disturbi alimentari, per chi abusa di sostanze, per chi è affetto da psoriasi, depressione o dolore cronico. Nel 2010 lo psicologo Fadel Zeidan, della facoltà di medicina della Wake Forest university a Winston-Salem, ha verificato che i volontari presentavano una minore sensibilità al dolore dopo poche sedute di meditazione di consapevolezza. Secondo Zeidan, la meditazione non elimina la sensazione di dolore, ma aiuta chi soffre a controllare le reazioni emotive e a ridurre la risposta allo stress. Zeidan sta usando la risonanza magnetica funzionale per cercare di capirne le cause. “La consapevolezza di poter alleviare molti disturbi da soli ci rende più forti”, spiega.
L’effetto positivo della meditazione sul benessere psicologico potrebbe anche spiegare alcune recenti scoperte dei ricercatori del progetto Shamatha, secondo cui esercitarsi regolarmente nella meditazione può portare a un notevole aumento dell’attività della telomerasi, un enzima che protegge l’organismo dall’invecchiamento cellulare e che viene inibito dallo stress psicologico.
Le emozioni potrebbero essere anche all’origine di un altro effetto positivo della meditazione. Una delle questioni più interessanti della ricerca è se la meditazione possa rafforzare i legami emotivi con le altre persone. Alcuni studi compiuti con la risonanza magnetica funzionale da Lutz e dalla sua équipe mostrano che i circuiti cerebrali connessi all’empatia e alla condivisione delle emozioni, come l’insula e la corteccia cingolata anteriore, sono molto più attivi nei meditanti esperti rispetto ai principianti.
Secondo Margaret Kemeny dell’università della California a San Francisco, la compassione è un concetto complesso che probabilmente implica una serie di capacità emotive. “Per essere compassionevoli, occorre innanzitutto riconoscere che l’altro sta provando una reazione negativa. Poi bisogna pensare a quale potrebbe essere una risposta positiva. Infine, occorre essere motivati a fare qualcosa per risolvere il problema”. In altre parole, è difficile potenziare la capacità di compassione di un individuo senza migliorare il suo equilibrio emotivo.
Nel 2009 presso l’università di Stanford, in California, è stato inaugurato un istituto per lo studio degli aspetti neurobiologici dell’empatia e della compassione. Il Center for compassion and altruism research and education (Ccare) – che è finanziato da neuroscienziati, da imprenditori della Silicon valley e dal Dalai Lama – ha già promosso una serie di progetti di ricerca. L’obiettivo è scoprire quali sono gli effetti sul cervello di un particolare tipo di meditazione in cui i partecipanti si concentrano sul rafforzamento dell’amore verso gli altri, e fino a che punto questa pratica possa sviluppare l’empatia e la compassione.
L’ipotesi che la meditazione rafforzi questi sentimenti ha spinto lo psicologo Paul Ekman e Alan Wallace, maestro buddista e presidente del Santa Barbara institute for consciousness studies, a proporre la creazione di “palestre” per l’allenamento mentale. Come i centri per l’attività fisica, queste palestre offrirebbero la possibilità di imparare a migliorare il proprio equilibrio emotivo, sviluppare la capacità di compassione e misurare i livelli di stress.
Qualcuno ha affermato che la meditazione potrebbe diventare un’alternativa alle cure mediche. Anche se può sembrare una buona idea, Saron è scettico. Il professore californiano teme che, considerando la meditazione come un facile rimedio, si trascurino alcuni dettagli indispensabili per praticarla correttamente. “Quando riportiamo la mente in concentrazione, dobbiamo essere delicati ma al tempo stesso fermi, senza sviluppare un senso di sconfitta ogni volta che ci distraiamo”, spiega Saron.
Il principale vantaggio della meditazione è che può essere praticata da chiunque e ovunque. E non occorre essere un esperto o allenarsi per cinque ore al giorno per trarne beneficio. Nell’esperimento sul dolore condotto da Zeidan, i principianti hanno mostrato dei miglioramenti dopo essersi esercitati per soli venti minuti al giorno per tre giorni. In un secondo esperimento, Zeidan ha riscontrato che sedute altrettanto brevi possono migliorare le prestazioni cognitive in attività che richiedono un’attenzione costante, come la memorizzazione e la ripetizione di una serie di cifre.
Lavoro a tempo pieno
“Anche dei brevi esercizi di meditazione possono produrre cambiamenti sostanziali nell’attività cerebrale”, spiega Richard Davidson, direttore del laboratorio Waisman. Secondo Davidson, i dati raccolti in un nuovo studio compiuto dai suoi ricercatori rivelano “cambiamenti dimostrabili nell’attività cerebrale” dopo appena due settimane di pratica per trenta minuti al giorno.
Per un principiante come me, è una buona notizia. Resta il fatto che più tempo dedichiamo alla meditazione e maggiore sarà l’impatto sul nostro cervello. Una ricerca effettuata da Brefczynski-Lewis, per esempio, ha rivelato una serie di cambiamenti nell’attività cerebrale che dimostrano come ai meditanti esperti basti uno sforzo cognitivo minimo per mantenere la concentrazione. Questo particolare effetto, tuttavia, è evidente solo in soggetti che hanno dedicato circa 44mila ore alla meditazione: l’equivalente di venticinque anni di lavoro a tempo pieno.
Probabilmente la maggior parte di noi non raggiungerà mai quel livello di trascendenza ma è senz’altro un obiettivo a cui aspirare.