L’importanza della pura attenzione attraverso la pratica di shamatha
Michele Bovo
L’obiettivo di questo testo è di dare una descrizione introduttiva della pratica concentrativa di shamatha, offrendosi come spunto per una ricerca più approfondita.
La base della pratica meditativa di Vipassana consiste nell’imparare a fermare la mente portando l’attenzione su un oggetto. Questa prima fase, chiamata Shamatha, è particolarmente importante per comprendere quanto sia difficile applicare l’attentazione in modo continuativo su un oggetto. Noteremo come la mente tenda a distrarsi, a perdersi in un flusso di pensieri da cui viene rapita continuamente. Questo primo importante passo rende evidente l’abitudine della mente a non essere ferma e calma, pacificata, ma bensì, soggetta a una serie di meccanismi di reazione che la costringono ad un moto perpetuo, un continuo flusso di pensieri a cui la mente reagisce in modo compulsivo, andando ad influenzare il nostro stato emozionale. La tendenza a dare per scontato questo stato della mente, questo continuo aggrapparsi a pensieri, a schemi di reazione, ogni volta che veniamo in contatto con le esperienze del vivere quotidiano, porta ad una sorta di schiavitù verso quelli che possiamo considerare i nostri filtri mentali. Ogni volta che verremo in contatto con un’esperienza, tenderemo a filtrarla secondo le nostre credenze, vivendola in maniera piacevole, spiacevole, o neutra venendo in un certo senso travolti da queste emozioni senza avere alcun controllo sulla nostra mente, sul nostro equilibrio. Questo stato della mente non è certo salutare, con questo tipo di mente saremo portati a credere di essere travolti dall’esperienza della vita anziché partecipatori attivi della nostra esperienza. Un primo passo per liberarci da questo modo compulsivo di operare della mente consiste nelle pratiche concentrative di shamatha.
La pratica di shamatha.
La pratica di shamatha ha lo scopo di sviluppare attenzione ed introspezione attraverso la presenza mentale, rinforzare la stabilità meditativa e quindi la vividezza dell’attenzione.
La pratica di shamatha consiste in varie pratiche concentrative con lo scopo di sviluppare presenza mentale e uno stato di pura attenzione, chiamata anche nuda attenzione.
All’inizio della pratica si porta l’attenzione al respiro, e si mantiene una costante attenzione alle sensazioni fisiche che l’atto respiratorio produce. Il praticante manterrà la propria attenzione all’esperienza fisica del respiro nel corpo. Una delle strategie per riuscire a mantenere l’attenzione in modo continuativo è quello di osservare il movimento del respiro a livello addominale o a livello delle narici (anapana). Noteremo che la mente tenderà a distrarsi facilmente seguendo pensieri, colori, ricordi, immagini, sensazioni, e tenderà probabilmente a formulare concetti o discorsività in relazione ad essi. Ogni volta che il praticante si accorge di non essere più sull’oggetto dell’attenzione, lo noterà, registrerà che la mente si è distratta e senza formulare altri pensieri a riguardo, senza giudicare tale stato, ritornerà con l’attenzione al respiro. La sfida più grande in questa prima fase è il non creare tensione quando ci si accorge che la mente si è distratta dall’oggetto. Un principiante potrebbe tendere a giudicare tale stato delle cose, creando tensione mentale e fisica, tali da rendere impossibile o controproducente la pratica.
E’ importante ricordare che meditare significa osservare, quindi viene coltivato uno stato di osservazione continuo rispetto a ciò che viene sperimentato momento per momento, scevro da giudizio o qualsiasi forma concettuale a riguardo. Si rimane mentalmente presenti all’esperienza per quello che è , senza desiderare che cambi o sia diversa. Quindi, se la mente è distratta, si osserverà che la mente è distratta, e con gentilezza il praticante riporterà l’attenzione al respiro. Se invece, la mente è presente al respiro, si osserva che la mente è presente al respiro e ci si rimane. Durante la pratica non si dovrebbero creare tensioni, quindi se sono presenti, significa che si sta sbagliando qualcosa. Con l’avanzare della pratica la mente comincerà a rilassarsi nell’osservare il respiro, questo ha infatti un effetto riposante che a lungo andare renderà la mente più attenta e vigile.
Il praticante comincerà ad accorgersi di dove sia la propria attenzione, se è distratta o presente al respiro, e in questo si accinge a sviluppare introspezione, ossia la capacità di accorgersi di quello che accade nel proprio campo di esperienza mentale. Questa, è una delle funzioni stimolate dalla pratica, ossia la capacità di osservare la nostra mente e i suoi movimenti all’interno della nostra esperienza interiore. Osserviamo se siamo distratti o meno, se stiamo vivendo particolari sensazioni, emozioni, tristezza o rancore, odio o amore, felicità o gioia, se ci sono pensieri o meno, ricordi o immagini, colori o rumori. Quello che accade quando si impara a fermare la mente è che si crea una sorta di spazio tra l’osservatore e l’osservato che induce ad una maggior capacità di introspezione, si comincia ad osservare ciò che accade all’interno di noi stessi. Questo cambio di prospettiva è di fondamentale importanza per la liberazione della mente dalla sofferenza e dall’ignoranza.
Fermando la mente concentrando l’attenzione su un oggetto, noteremo che la mente tende a calmarsi, il flusso di pensieri a lungo andare, si calma, rallenta e questo porta a sviluppare stati di calma della mente a cui non siamo abituati, ma con i quali cominciamo a familiarizzare. Lo spazio tra un pensiero e l’altro aumenta, lasciando spazio a stati di intensa presenza mentale. Il praticante comincia a notare che fermando la mente e sottraendola dal continuo reagire agli oggetti con cui entra in contatto, sviluppa uno stato di quiete, di calma dimorante. Questa pratica porta la mente al suo stato naturale, pacificato, calmo, quieto, non reattivo.
Fermare la mente su un oggetto in modo continuativo favorisce quindi un aumento della percezione. Immaginiamo di osservare un quadro, per poterlo ammirare nella sua interezza dobbiamo osservare il centro del quadro e questo porta ad osservarlo nel suo insieme, è impossibile osservare un quadro, saltando da un particolare all’altro, pretendendo di riuscire ad osservarne l’insieme. Come per il quadro, è necessario calmare la mente per poter sviluppare quella che viene definita presenza univoca, capace di osservare la complessità e totalità dell’esperienza interiore nel suo insieme senza saltare da un pensiero all’altro o da una sensazione all’altra. Ogni volta che la mente viene rapita da un fattore di distrazione perde completamente la visione d’insieme e la realtà diventa ciò su cui si è spostata. In sintesi, è impossibile percepire la totalità della propria esperienza se la mente è distratta e continua a saltare da un oggetto di distrazione all’altro. Calmando la mente, il praticante si accorgerà che anche la propria percezione si amplifica, aumentando anche i particolari di cui si accorge.
Nel quieto dimorare si può inoltre osservare la qualità dell’attenzione. Nella spaziosità della consapevolezza mentale potremmo essere in grado non solo di osservare il rallentare del flusso di pensieri e della tendenza della mente alla distrazione, ma anche di assaporare i momenti in cui la mente è completamente spaziosa e presente. In questo “spazio” di consapevolezza possiamo applicare l’attenzione alla qualità di questo spazio, ossia, al come è la mente: distratta, eccitata, calma, chiara e presente oppure è entrata in uno stato di torpore, e tende alla sonnolenza ed entrare in una dimensione onirica.
Rimanendo presente al respiro il praticante si addestra a dimorare in un semplice stato di osservazione, presente al respiro ed allo stesso tempo alla mente stessa. La mente permane in uno stato di equilibrio stabile a prescindere dalla presenza o meno di discorsività mentale o fenomeni mentali in genere. Sperimenta la pura attenzione, uno stato di presenza mentale continua all’esperienza interiore. Si familiarizza con questo stato spazioso e lucido della mente chiamato attenzione univoca, dove la mente si acquieta al suo stato naturale, presente ma non coinvolta, concentrata e nel contempo rilassata, equanime e aperta.
Riassumendo, le tre funzioni principali della pratica di Shamatha sono:
- aumentare l’ introspezione attraverso l’auto-osservazione;
- acquietare la mente al suo stato naturale e sviluppare stabilità meditativa;
- mantenere l’attenzione in modo continuativo su un oggetto rilassando la mente e concentrandola;
La pratica di shamatha sviluppa le facoltà di presenza mentale e dell’introspezione come mezzo per rinforzare la stabilità e la vividezza dell’attenzione. Raffinare questa pratica significa aumentare la propria concentrazione a livelli sempre più raffinati dando accesso a stati di samadhi. Questi stati sono caratterizzati da stati profondi di serenità e di beatitudine.
Gli assorbimenti meditativi inoltre denominati jhana o dhiana vengono stabilizzati con questa pratica.
Un tempo molti praticanti delle arti contemplative praticavano shamatha semplicemente per avanzare e stabilizzare i vari assorbimenti fino allo stato del nirvana.
La grande innovazione introdotta da Gautama, fu di sviluppare ulteriormente questi metodi di samadhi, e poi applicare l’attenzione, focalizzata e affinata, all’investigazione esperienziale della mente e alle sue relazioni con il resto della realtà attraverso la pratica di vipashyana.
L’unico strumento che possediamo per l’osservazione diretta dei fenomeni è la consapevolezza mentale, la quale grazie allo sviluppo di shamatha, può essere affinata fino a diventare uno strumento di precisione.
Ci sono varie tecniche per affinare shamatha e tutte sono propedeutiche alla pratica di vipashyana, attraverso la quale viene inserito l’elemento investigativo in merito alla natura dei fenomeni e per questo viene definita come la pratica della coltivazione della visione penetrante e contemplativa della realtà dei fenomeni.